Modello dei ruoli di genere tradizionali
La violenza ha tanti volti, tanti quanti sono i modelli teorici che si impegnano a spiegarla a livello socio-psicologico; tanti quanti sono i singoli individui coinvolti nei meccanismi che la perpetrano.
In questa rubrica dedicata all’argomento violenza, vorremmo proporre alcune riflessioni sui possibili motivi scatenanti e sui modelli via via elaborati per comprenderne le sfaccettature.
Prendiamo in considerazione il modello che si focalizza sull’analisi della visione tradizionale dei ruoli di genere. Questo modello si concentra sulle aspettative sociali riguardo ai ruoli di genere e al potere maschile nella società. La violenza, in particolare quella domestica, può essere spiegata dalla costruzione sociale di un modello maschile basato sul controllo e sul dominio, mentre i comportamenti considerati in maniera stereotipata come “femminili”, quali la sottomissione e la dipendenza, possono contribuire alla perpetrazione dell’abuso.
La socializzazione al maschile si riferisce al processo attraverso il quale gli individui maschi apprendono e internalizzano i modelli, i valori e i comportamenti considerati tipici o accettati all’interno della loro cultura riguardo all’appartenenza al genere. Questa socializzazione inizia fin dalla nascita e continua per tutta l’arco della vita, influenzando le percezioni, le aspettative e i comportamenti degli uomini all’interno della società.
Secondo la concezione derivante dalla mascolinità definita in maniera tradizionale, gli uomini devono aderire a stereotipi rigidi, come essere forti, dominanti, coraggiosi, aggressivi ed emotivamente distanti. L’espressione delle emozioni, soprattutto quelle considerate deboli o vulnerabili, viene spesso scoraggiata. Vengono loro attribuiti ruoli determinati, come quello di “capo famiglia” o di forza lavorativa principale (breadwinner). Ciò può portare a pressioni affinché si sentano obbligati a dimostrare il proprio valore attraverso il successo professionale e il guadagno di denaro. Vengono incoraggiati a risolvere i conflitti in modo aggressivo e a dimostrare la propria superiorità attraverso la competizione, sia in ambito lavorativo che sociale. Viene inoltre promossa l’idea che debbano avere il controllo sulle situazioni, comprese le relazioni e le dinamiche familiari.
Tale tipo di visione del maschile può essere strettamente collegata alla violenza di genere, poiché alcune caratteristiche della socializzazione tradizionale possono contribuire a creare un ambiente favorevole agli abusi. Ciò non significa che tutti gli uomini diventano violenti, ma che alcune dinamiche sociali e culturali possono influenzare il comportamento individuale, soprattutto su persone psicologicamente fragili, e collettivo, quando hanno presa sulla facilità di analisi di situazioni complesse.
In particolar modo, la rigidità e la stereotipia di alcuni elementi contribuiscono alla creazione di ambienti familiari o di coppia particolarmente suscettibili ad agiti violenti o ad abusi psicologici:
- Norme sulla mascolinità che prescrivono la dominanza e l’aggressività: spingerebbero alcuni individui ad utilizzare la violenza come strumento per dimostrare la propria appartenenza di genere o per risolvere i conflitti.
- Repressione emotiva: reprimere le emozioni considerate “deboli” o “femminili”, come la paura o la tristezza avrebbe come effetto una tendenza a utilizzare la violenza come mezzo per esprimere la rabbia e la frustrazione.
- Controllo e dominio: cercare il controllo e il dominio sugli altri, in particolare sulle donne, al fine di dimostrare potenza, indurrebbe a comportamenti violenti per mantenere o riaffermare il proprio valore come maschi.
- Inibizione della comunicazione: a causa delle norme di mascolinità che enfatizzano la “durezza” e la mancanza di empatia, alcuni uomini possono avere difficoltà a comunicare in modo costruttivo e a risolvere i conflitti in modo non violento.
Tuttavia, è fondamentale riconoscere che la violenza di genere non è inevitabile, né ineluttabile. Molti uomini vi si oppongono e agiscono per promuovere relazioni rispettose e di parità di genere. La socializzazione al maschile di tipo tradizionale, infatti, non è una caratteristica innata, ma è, come abbiamo visto, plasmata dalla cultura e dall’ambiente in cui un individuo cresce. A causa della crescente consapevolezza riguardo ai limiti e agli svantaggi di alcuni modelli, stanno emergendo con sempre maggiore forza movimenti che cercano di ridefinire e promuovere una mascolinità più aperta e diversificata.
La lotta contro la violenza di genere richiede un approccio complesso e multidimensionale. È essenziale promuovere un’educazione inclusiva ed empatica, sfidando le norme della mascolinità tossica e proponendo modelli positivi di comportamento. Parallelamente, si dovrebbe lavorare sulla consapevolezza emotiva, educare al consenso, all’uguaglianza e alla comunicazione non violenta per incidere sui comportamenti aggressivi e discriminatori.