L’Inclusione lavorativa delle persone con disabilità
L’Articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità cita:
“Un efficace inserimento lavorativo può essere importantissimo per le persone con disabilità per accrescere il proprio senso di autoefficacia, autostima ed autorealizzazione, orientare le proprie attività verso qualcosa di “utile” e “produttivo”, potenziare le proprie competenze, l’autonomia e il senso di adultità, promuovere l’arricchimento personale, relazionale, ed al tempo stesso rappresenta uno dei passaggi fondamentali e centrali nel processo di inclusione sociale.”
Nello stesso articolo, dedicato al lavoro ed occupazione, la Convenzione (ratificata dall’Italia con L. 18/2009) riconosce il diritto delle persone con disabilità al lavoro, includendo in ciò l’opportunità di mantenersi attraverso la propria attività lavorativa e la libertà di scelta all’interno di un ambiente lavorativo inclusivo ed accessibile.
Gli Stati Parti si impegnano a:
- combattere ogni forma di discriminazione sul lavoro;
- proteggere il diritto delle persone con disabilità ad avere condizioni lavorative giuste e favorevoli, comprese l’eguaglianza di opportunità e remunerazione, nonché i diritti sindacali;
- garantire che le stesse non siano tenute in schiavitù o svolgano lavoro coatto.
Lavorare è, per ogni persona, un diritto-dovere che assume un valore fondamentale non soltanto dal punto di vista prettamente economico e remunerativo, ma anche per le sue implicazioni sociali e psicologiche, con impatto determinante sulla qualità della vita.
Le persone con disabilità hanno necessità di ricevere sostegni adeguati, sin dalle prime tappe e per tutto il corso della propria vita, per poter esprimere appieno le proprie potenzialità, per potersi vedere garantito il diritto ad essere parte di quell’investimento della società che prevede opportunità di crescita, inclusione sociale e remunerazione. Anche la società ha bisogno di essere sostenuta per raggiungere questo obiettivo, con le norme e con le leggi, ma anche con gli strumenti, le esperienze, i progetti, i pensieri e le istanze di cambiamento.
Avere un lavoro ed essere pagati per farlo non deve essere un sogno.
I lavoratori con disabilità, considerata la comprovata difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro, sono destinatari di un regime di collocamento obbligatorio, la cui finalità è quella di promuovere la loro integrazione sociale, il pieno sviluppo della loro persona, nonché la creazione di occasioni di lavoro.
L’accertamento delle condizioni di disabilità – ai sensi dell’art. 1 comma 4 legge n. 68/1999 – avviene a seguito dell’accertamento dei requisiti sanitari effettuato dalle competenti Commissioni:
- l’accertamento dell’invalidità, cecità e sordità civili è effettuato dalle Commissioni operanti presso le Aziende U.S.L. competenti per territorio, al fine di individuare per ogni lavoratore:
-
- il grado di invalidità,
- l’idoneità al lavoro;
- la capacità lavorativa presente e potenziale, nonché le modalità per migliorarla;
- l’accertamento dell’invalidità derivante da infortunio sul lavoro o da malattia professionale è effettuato dalla competente Commissione INAIL;
- l’accertamento dell’invalidità derivante da cause di guerra, civili di guerra o di servizio, effettuato in precedenza dalle Commissioni Mediche Ospedaliere degli Ospedali Militari, è stato successivamente trasferito alle Commissioni Mediche di Verifica del Ministero dell’Economia e della Finanza.
A seguito dell’accertamento della condizione di disabilità, qualora la persona si trovi in stato di disoccupazione, può iscriversi negli appositi elenchi tenuti dai servizi per il collocamento mirato nel territorio di residenza dell’interessato.
Per ogni persona, il comitato tecnico annota in un’apposita scheda le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura ed il grado della disabilità ed analizza le caratteristiche dei posti da assegnare ai lavoratori disabili, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Il lavoro che asume un’’importanza tale da tradursi in libertà, autorealizzazione e indipendenza, è ancora un territorio minato per gran parte dei cittadini europei con disabilità i quali non solo trovano meno lavoro, ma vengono anche pagati meno, rispetto ai concittadini senza disabilità.
La conferma arriva dai dati contenuti nel rapporto sui diritti umani del Forum Europeo della disabilità “Diritto al lavoro” 2023 che restituisce una immagine desolante della situazione occupazionale e lavorativa dei cittadini con disabilità all’interno dell’Unione Europea.
Tale rapporto mostra che solo il 51,3% delle persone attive con disabilità in età lavorativa nell’UE ha un lavoro retribuito. Inoltre, ancora una volta, le donne e i giovani risultano i gruppi più svantaggiati: solo il 49% delle donne e il 47,4% dei giovani con disabilità hanno un lavoro retribuito.
Il rapporto, che indaga i singoli Paesi dell’UE, permette di tracciare una mappatura degli Stati dove la realtà occupazionale delle persone con disabilità è migliore o peggiore. Secondo i dati, la situazione è particolarmente grave in quattro dei paesi dell’Unione Europea: all’ultimo posto si trovano Grecia e Irlanda con il 32,6% delle persone con disabilità impiegate. Seguono la Croazia con il 37% e la Spagna con il 39%. L’Italia è nel gruppo più “di mezzo” col 51,6% di occupati. I Paesi con i dati migliori risultano essere Danimarca (60,1%), Estonia (64,9%), Lettonia (60,8%).
DIFFERENZA DI LAVORATORI CON E SENZA DISABILITÀ
La disabilità, quindi, è un elemento che impatta fortemente sulla possibilità di occupazione: lo dimostrano i numeri a confronto tra persone occupate, con e senza disabilità.
I dati del 2022 della Commissione Europea certificavano come in Europa le persone con un lavoro siano il 75,6%, mentre quelle occupate con disabilità sono il 51,3%. Il divario occupazionale medio tra i tassi di occupazione delle persone con disabilità e senza disabilità è quindi di 24,4 punti percentuali. Tale dato è molto variabile nei diversi Stati Membri: si va dal 18, 2 del Portogallo ai quasi 40 punti percentuali dell’Irlanda.
RAGIONI DEL DIVARIO OCCUPAZIONALE DELLA DISABILITÀ
Il rapporto ha individuato le seguenti diverse cause che determinano tale divario:
- mancanza di accomodamenti ragionevoli (introdotti con l’art. 2, comma 4, della Convenzione ONU del 13 dicembre 2006 e nello specifico si riferisce a: “modifiche e adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.
- discriminazione strutturale (quando la disparità di trattamento trova fondamento nell’assetto organizzativo, ad esempio quando convenzioni, costumi o tradizioni patriarcali, religiose o omofobiche portano a svantaggiare un determinato gruppo di persone e ciò è considerato “normale”)
- pregiudizio subito dalle persone con disabilità
- mancanza di accesso a un’istruzione inclusiva e di qualità.
DIFFERENZE DI GENERE
In questo contesto, come accennato in precedenza, i numeri dell’occupazione femminile sono peggiori, e questo nonostante le donne con disabilità siano, in media, più istruite degli uomini con disabilità.
Il rapporto dell’Unione Europea riporta alcuni dati significativi: secondo una relazione della Commissione del 2022 che analizza i dati comparativi per persone con disabilità nel mondo del lavoro, nel 2019, il 49% delle donne dai 20 ai 64 anni con disabilità erano occupate, rispetto al 53,9% degli uomini con disabilità. Inoltre, lavorava il 69,3% delle donne senza disabilità, contro l’82% degli uomini senza disabilità.
Le cifre sono ancora più basse se si guarda al lavoro a tempo pieno: secondo i dati dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di genere (EIGE), in tutta l’UE le donne con disabilità hanno tassi di occupazione a tempo pieno inferiori rispetto a donne senza disabilità. Per quanto riguarda la differenza tra le donne
e uomini con disabilità, solo il 20% delle donne con disabilità lavora a tempo pieno, rispetto al 29% degli uomini con disabilità. Grecia, Bulgaria e Italia hanno i più bassi tassi di occupazione a tempo pieno per le donne con disabilità.
GIOVANI DISABILI E OCCUPAZIONE
Un altro sottogruppo svantaggiato tra i lavoratori con disabilità è quello dei giovani. Sempre secondo il rapporto, si stima che nel 2019 lavorasse il 47,4% delle persone con disabilità tra i 20 e i 29 anni, rispetto al 57,8% di persone senza disabilità nella stessa fascia di età.
Le motivazioni vanno ricercate anche negli ostacoli che i giovani con disabilità incontrano al completamento dell’istruzione e all’ottenimento di qualifiche: difficoltà che si traducono in un ritardo nel fare la prima esperienza professionale, rispetto ai coetanei senza disabilità. Anche a ciò si deve il fatto che lavoratori con disabilità spesso ricoprono ruoli inferiori rispetto ad altri lavoratori della stessa età.
DISABILITÀ E DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE
Non solo le persone con disabilità trovano meno lavoro, ma in tutta l’UE vengono anche pagate meno rispetto a quelle senza disabilità. E la situazione peggiora se si è donne con disabilità: in questo caso
il divario retributivo di genere e di disabilità fa sì che le donne disabili siano pagate meno non solo delle loro controparti maschili (con e senza disabilità), ma anche delle donne senza disabilità.
“L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è possibile ed è responsabilità di ciascuno di noi: persone con disabilità, associazioni, istituzioni, scuole, famiglia, servizi, mondo delle imprese, comunità. Se ognuno di noi non fa la propria parte, se veniamo meno a questa responsabilità, non violiamo solo diritti, facciamo qualcosa di ancora più grave: priviamo noi stessi e l’intera collettività di qualcosa di prezioso e insostituibile…il contributo di tutti i suoi membri, nessuno escluso.”
-Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas